Giorgio Ghezzi

Kamikaze


Giorgio Ghezzi (Cesenatico, 10 luglio 1930 - Forlì, 12 dicembre 1990) | Leggenda

Da Ciao Ghezzi, Kamikaze (Gianni Brera, La Repubblica, 13 dicembre 1990)

Sua madre maestra era romagnola puro sangue, suo padre era figlio d'un brianzolo sposatosi in Romagna. Solo per la severità di sua madre aveva scelto di giocare in porta, dove non avrebbe consumato le scarpe come in qualsiasi altro ruolo. Dal Rimini era passato al Modena, dove aveva avuto un prezioso maestro nel romanista Masetti. Poi era stato assunto dall'Inter. 
Il modulo perfezionato da Alfredo Foni prevedeva l'impiego del libero nella robusta persona di Ivano Blason e di uno stopper nell'agile persona di Giovannini. Quando Ghezzi si avventurava fuori dai pali, Giovannini soleva arretrare a copertura della porta, e da questa posizione salvò molte volte il portiere da magre sesquipedali. Ghezzi usciva spesso e volentieri, ma quando Masseroni ebbe proibito a Foni di fare catenaccio (oh, infinita paura dei presidenti antiqui), Ghezzi dovette fare di necessità virtù, e si guadagnò fama di portiere kamikaze, cioè spericolato fino alla temerarietà. Conoscendolo io benissimo, sono in grado di affermare che era coraggioso due volte, perché in effetti era sensibile fino alla paura: non per altro le sue uscite parevano sempre dettate dalla disperazione.
Giorgio Ghezzi era bello e di gentile aspetto, niente sbruffone e tanto meno vanesio. I suoi occhi erano grandi e pensosi, spesso malinconici. Il suo spirito dialettico romagnoleggiava al punto da renderlo anche ridicolo, come quando, battuto, incolpava del pateracchio chi aveva sbagliato a tirare. C'era poi il sospetto che, amando gli interventi teatrali, arretrasse di qualche passo per poter agevolmente volare a bloccar palla. Era un vezzo che in fondo divertiva anche i suoi avversari. In realtà, aveva un solo difetto evidente: quello di render molto meno sul fianco sinistro che sul destro. Aveva poi degli abbassamenti di tono psichico a dir poco disastrosi (come gli accadde nella Coppa Intercontinentale con il Santos al Maracanà): era molto sensibile: e questo poco si addiceva al suo ruolo, tenuto da mattocchi spericolati fino all'incoscienza. Non per altro ebbe scarsa fortuna in nazionale, disputando da azzurro 6 soli incontri, mentre il suo libro d'oro è ricco di ben due scudetti con l'Inter e uno con il Milan, per tacere di una Coppa Campioni vinta con il Milan a Wembley nel '63. 
Per un curioso gioco del destino, Giorgio Ghezzi ebbe a militare con meritato successo in entrambe le squadre di Milano, passando un anno che chiamerò di purificazione nel buon vecchio Genoa. Per amore del mio caro balordo genuate si fece anche allenatore sul finire degli anni '60, ma non faticò molto ad accorgersi che il mestiere non era per lui. Tornò dunque in Romagna, al suo Albergo Internazionale e al Peccato di gola, un ristorante-night che si era chiamato per qualche tempo Peccato Veniale. Qui avrei dovuto vederlo sabato scorso con Ballarin e Vitali. Avendo rinunciato a quella lunga ma fortunata trasferta al seguito dell'Inter, ebbi dagli amici i suoi fraterni saluti, che oggi ricordo con doloroso senso di colpa. Caro Giorgio, perdona. E ti sia lieve la terra.