Un "prosatore realista"
(Pier Paolo Pasolini)
Giacomo Bulgarelli (Portonovo di Medicina, 24 ottobre 1940 - Bologna, 12 febbraio 2009)
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" ... Ma per la misura del suo stile e l'eleganza del suo carattere, che riflettevano anche tanta parte del suo gioco, Giacomo Bulgarelli non è mai stato considerato un giocatore centrale nella storia del calcio italiano. Eppure la sua figura è stata determinante in momenti che hanno segnato una svolta nel passaggio dagli anni '50 al calcio della fine degli anni '60, nei quali ha imposto il suo gioco lineare, di centrocampista di vecchie idee e nuove intuizioni, legato a vecchie regole ma pronto a nuovi sviluppi tattici.
E' stato uno dei protagonisti del risveglio del calcio giovanile italiano, la nazionale olimpica del '60, nella quale una nuova generazione di talenti (insieme a lui, su tutti, Rivera) restituiva il calcio italiano a un livello che meritava, risorgendo dagli anni bui del dopoguerra segnati dalla tragedia del Grande Torino. Fu una nazionale divertente, che mancò la medaglia (giunse quarta) solo perché le nazioni dell'Est, la Jugoslavia che la batté in semifinale, in realtà schieravano giocatori finti-dilettanti. Gli azzurri erano veri giovani, 20 anni Bulgarelli, 17 Rivera, rappresentarono una finestra sul futuro, per un'Italia che era reduce dalla sua unica eliminazione dai Mondiali, quelli in Svezia nel '58, e che ancora si aggrappava a vecchi oriundi. Di questa squadra Bulgarelli era la figura più matura, raffinando quel gioco da mezz'ala allora molto più evidente di adesso, con la responsabilità di legare la manovra e di darle profondità, che avrebbe visto più tardi anche altri interpreti, come per esempio De Sisti.
La seconda tappa della sua storia fu lo scudetto del Bologna del '64, del quale Bulgarelli fu anima insieme a un nucleo di irripetibili giocatori al di fuori di ogni schema, come Haller, Pascutti, Perani, per non dire dell'allenatore, Fulvio Bernardini. Di quella squadra si disse che si giocava bene così solo in paradiso e Bulgarelli era il possessore delle chiavi di quel gioco, per una vittoria che rimase un'eccezione nel mondo dominato dai club milanesi e torinesi e da un ambiente che cercò anche di ostacolare quella vittoria con accuse di doping. Tutta la carriera di Bulgarelli, e questa può essere una ragione della sua 'modestia' mediatica, è stata ai margini del grande potere, luminosa ma tenuta da parte, tutta vissuta all'interno di un solo club, il Bologna, miracolosamente, e per pochi mesi, riapparso ai vertici dopo le glorie d'anteguerra. Il trionfo fu poi a Roma, nello spareggio che vide una delle mosse creative di Bernardini, l'uso di un terzino, Capra, all'ala destra, una delle chiavi della vittoria (2-0) sull'Inter del mago Herrera, in quella circostanza beffato dalle arti di Fuffo.
Esemplare in questo senso il terzo momento della sua carriera, il più drammatico, i Mondiali in Inghilterra nel '66, quando una nazionale guidata da Fabbri che vinceva con il gioco spettacolare, ma che non era amata, anzi era combattuta, perché non proponeva un blocco dell'Inter, cadde rovinosamente a Middlesbrough contro la Corea del Nord. Bulgarelli era il capitano di quella squadra ma la sua partita e il destino dell'Italia furono determinati in gran parte dal suo infortunio nel primo tempo. Allora non era possibile fare sostituzioni, di fatto gli azzurri giocarono per gran parte del match in dieci uomini. Si discusse poi se Fabbri avesse sbagliato a mandare in campo Bulgarelli che non era alla vigilia in condizioni ottimali, se lo stesso Bulgarelli per precauzione avesse dovuto evitare di scendere in campo. L'unica consolazione fu che gli fu risparmiato il linciaggio cui fu sottoposto il ct Fabbri, anche se la rapidità dell'evoluzione del calcio italiano portò Bulgarelli ai margini, agli Europei del '68, il primo grande successo italiano dai Mondiali del '38, era nella lista ma non fu mai schierato in campo. Erano stati otto anni di rivoluzione, Bulgarelli li aveva vissuti tutti da protagonista, ma a 28 anni era in un certo senso già un uomo del passato".
Corrado Sannucci, "La Repubblica", 13 febbraio 2009