In morte di John Charles

Roberto Beccantini, La Stampa, 22 febbraio 2004

La notizia era nell'aria, come i gol che faceva. William John Charles si è spento ieri mattina, al Pindefields Hospital di Wakefield, città a una ventina di chilometri da Leeds. Aveva 72 anni e stava male da tempo: il 6 gennaio scorso, mentre dagli studi di Milano si accingeva a partecipare alla «Domenica Sportiva», l'avevano trasportato d'urgenza all'ospedale San Carlo e operato per un aneurisma all'aorta addominale. Un mese dopo, i chirurghi furono costretti ad amputargli un pezzo del piede destro. Sconvolge quanto la natura dispensi e quanto, all'improvviso, pretenda.

La favola del Gigante buono è stata tutta in salita, anche in campo, dove la rete, per lui, era sempre in cima a qualcosa, e ci volevano testa, cuore e fegato per arrampicarsi fin lassù. Il padre, Ned, ha piantato le tende fra le miniere di Swansea, Galles, quattro stanze senza cielo. John pesa un chilo e ottocentro grammi, la mamma, Lily, lo affida a un asilo per bambini bisognosi. Non ancora gigante, ma subito buono: i maestri, a scuola, lo elogiano per la condotta. Si arrangia: minatore e, pur di giocare, ciabattino e spazzino a disposizione dei titolari. A insegnargli la lealtà è il pugilato, che pratica durante il servizio militare, aggiudicandosi un sacco di incontri. Poi il calcio, solo quello. E sempre al centro: della difesa, agli esordi, e dell'attacco, nella maturità. La Juventus di Umberto Agnelli lo acquista dal Leeds Umted nell'estate del 1957 per 110 milioni di lire, una cifra che, all'epoca, fece scalpore. Alla famiglia, l'ha segnalato Gigi Peronace, pittoresco e tenace esploratore del mercato' inglese'. Oggi la Juve gioca a Bologna. Proprio a Bologna, la prima Juve di Boniperti, Charles e Sivori subì una memorabile stangata in amichevole (1-6). Tutto qui? si diedero di gomito i critici. Era la vigilia della stagione 1957-58: 51 punti e scudetto, Charles 28 gol e capo-cannoniere, Sivori 22, Boniperti 8. Tutto qui, serve altro? 
Boniperti c'era già, Sivori e Charles arrivarono insieme. Altra musica. Perché sì, John, pastosa voce da baritono, si diletta pure a cantare. Gli amici lo convincono a incidere un disco: su una facciata, «Sixteen Tons», cavallo di battaglia dei leggendari Platters; sull'altra, «Love in Portofino», un successo di Fred Buscaglione. Una sera, si esibisce alla mitica Capannina di Viareggio. I testimoni narrano che un paio di giovanotti un po' brilli, tifosi della Fiorentina?, lo fischiano e lo sfottono. Morale: a un tavolo c'era Sivori, volarono cazzotti e bottiglie, toccò a Charles in persona placccare, e placare, Omar e la sua ira selvaggia. 
Formidabili quegli anni: gli italiani vanno in Vespa e scoprono la televisione. Federico Fellini gira «La dolce vita», Roma ospita le Olimpiadi, il Paese fa boom. Boniperti, Charles e Sivori, tre scudetti e due coppe Italia dal 1957 al 1962, sequestrano le copertine. Sivori è il genio arrogante e capriccioso, il «vizio» dell'Avvocato, Boniperti la bussola, Charles la torre, il traliccio, il colpo di testa e di martello. Quando finisce contro un palo, è il palo che invoca la spugna del massaggiatore. E se per caso gli scappa ima gomitata, chiede scusa. Fatti, non parole. Dicono che in carriera abbia mollato solo una sberla (a Sivori, per calmarlo) e picchiato solo un avversario, il fratello Mel, nel corso di un'amichevole fra Juve e Arsenal: Mel lo marcava, e John non voleva che la gente pensasse a un duello fìnto. 
Un infortunio lo ha privato di un aggancio storico: guardare negli occhi Pelè ai Mondiali del 1958. Brasile-Galles, quarti di finale: giocò Mel, quel giorno, non lui. Finì 1 -0, gol di Pelé (e di chi, se no?). Il mestiere e la vita non sempre si prendono per mano. Peggy, la prima moglie, gli ha dato quattro figli - Peter, Terry, Melvyn, David - ma non la pace. Un donnone autoritario, una virago dai modi spicci e l'umore mobile qual piume al vento. Nel 1962, Umberto Agnelli invitò Boniperti, che si era appena ritirato, a prolungare il contratto di John. Non facesse il taccagno, per uno così questo e altro. Emozionato ed eternamente grato, il gallese firmò. Quel pezzo di carta e quello scarabocchio durarono una notte. Ancora fresco di rasatura, Charles si precipitò nell'ufficio di Boniperti e stracciò il foglio: «Scusami, Giampiero, ma Peggy vuole tornare a casa». Ci tornarono giusto il tempo per accettare, fra un litigio e l'altro, l'offerta della Roma. Giocò centromediano, dieci partite appena, fu un passo d'addio senza corona, lui che era stato il re, the King, il Gigante buono, lo sfondatore gentiluomo. 
Con Peggy è finita male: spiazzato e mollato, i figli con lei. John sapeva modulare la voce, non alzarla. Beveva (chi dice il giusto e chi troppo), fumava (tutti d'accordo: troppo), il fisico da toro si trasformò piano piano in un corpo debole, vulnerabile. A Torino, dalle parti della stazione di Porta Nuova, aveva aperto un ristorante, «King's restaurant», in società con un suo compagno d'armi, Umberto Colombo. Non ebbe fortuna, e andò a rotoli anche il pub gestito a Leeds. Amava Peggy, John, e soffrì come un cane finché non incontrò e sposò Glenda. Gliel'avevano presentata amici comuni, alta, magra, capelli rossicci ben pettinati, il viso giovanile e abbronzato. Gli ha riempito il cuore ma non è riuscita ad arrestare l'agonia. Di sicuro, gliel'ha resa meno straziante. 
Non era ricco, John Charles. Da Torino Boniperti e gli amici d'antan (fra i quali Benito Boldi) lo tenevano costantemente sotto controllo, la Juve di Platini e Scirea gli dedicò l'incasso di un'amichevole organizzata ad hoc. Lontano, ma non solo: questo mai. Aveva tentato l'avventura del coach (in Canada, addirittura), si era inventato improbabili mestieri, capiva di essere un peso, l'orgoglio e la dignità gli impedivano di lanciare sos. Aspettava. Rispondeva. Spostava la gloria e la pena. Il 29 gennaio del 2003, eccolo al teatro comunale di Gubbio, ospite del programma «Una squadra per amico», trasmesso in diretta tv su Rai Uno con il fine, nobile, di raccogliere fondi in favore dell'ospedale pediatrico Gaslini di Genova. Lo scortava Glenda, nessuno, purtroppo, parlava inglese, salvo Mike Bongiomo, che gli regalò il sorriso di un giocoso siparietto. 

«Dare è molto più gratificante che ricevere», dichiarò ai cronisti inglesi dopo aver regalato la 24a macchina per le pulizie renali a un nosocomio dello Yorkshire. Il termine «buono», che adesso invade i ricordi e i necrologi, l'ha accompagnato da Leeds a Torino e da Torino a Leeds. Al San Carlo ha avuto il conforto di Glenda e dei fìgli. Un aereo affittato dalla Juventus ha riportato a casa, per l'ultimo viaggio, questo Ercole gentile e implacabile, mai feroce, però, neppure nei momenti in cui stritolava gli stopper pagati per saltargli alla gola. Era destmo che le Signore, vecchie e giovani, figurate e no, segnassero di medaglie e cicatrici il suo petto e la sua anima. Glenda è stata, per lui, Penelope e Itaca. John Charles, per lei e per noi, un Ulisse che lascia una voragine, non solo una straordinaria e toccante Odissea.

Roberto Beccantini