Giulio Nascimbeni, Corriere della Sera, 15 agosto 2003
Domenica 4 dicembre 1960, stadio San Siro, si giocava Milan-Torino [vedi i riflessi filmati della partita: Settimana Incom del 12 dicembre 1960]. L' altoparlante scandì la formazione rossonera: Ghezzi, Maldini, (Cesare, ovviamente), Trebbi, David, Salvadore, Trapattoni, Vernazza, Liedholm, Altafini, Rivera, Ronzon, allenatore Todeschini. Nel Torino il mediano destro era Bearzot, futuro c.t. dell' Italia nel vittorioso Mondiale del 1982. Mi trovavo a Milano per una svolta decisiva della mia vita: in quei giorni, stavo per lasciare Verona, la mia città, e il suo quotidiano, «L' Arena», per entrare al «Corriere d' Informazione», l' edizione pomeridiana del «Corriere della Sera». Ero, fin dall'infanzia, tifoso del Bologna, ma pensavo che, per non dover aspettare senza il mio sport preferito le due trasferte del Bologna a San Siro, s'imponeva la scelta di una delle due squadre di Milano. Decine di articoli e interviste mi avevano già proposto un protagonista, amato e contestato, Gianni Rivera, un ragazzino di Alessandria con i capelli a spazzola, dall'aspetto quasi filiforme. Al 32' del primo tempo Rivera segnò un gol delizioso. Poco dopo, il terzino sinistro del Torino, di nome Buzzacchera, fece rotolare Rivera con un'entrata da panzer. Uno spettatore si lanciò dalle gradinate e urlò in dialetto verso Buzzacchera: «Balúba, ma te vedet no che l' è un fioeu?». Facile traduzione: «Ignorante, ma non vedi che è un bambino?». In quel momento divenni riveriano e milanista. Non seguirò tutta la storia di Rivera. La memoria riscopre lampi e frammenti. Un titolo dell'«Europeo» che parodiava Ungaretti: «M'illumino di Rivera». Gianni Brera, che lo chiamava «abatino», fu conquistato dalla bellezza del quarto gol che decise Italia-Germania in Messico nel 1970 e scrisse che era perfetto come l' immortale inizio della «Sera del dì di festa» di Leopardi: «Dolce e chiara è la notte e senza vento...». Caro Rivera, caro campione dal «tocco in più» come fu definito da Oreste del Buono, è inutile fingere. C' è un po' di malinconia in questi auguri. Il battito del tempo scandisce troppo avidamente la vita e l'idea di un Rivera sessantenne mi sembra irreale. Le date parlano con il freddo linguaggio dei numeri. Ma io, anche per illudere me stesso, sono fermo a quel remoto pomeriggio di dicembre, a quel «fioeu» gridato a San Siro.