Chi non lo vide giocare, non può capire.
La bellezza dell'anarchia - che il Mago ben comprese, regalandogli quel numero 11 che non voleva dir nulla, tatticamente, salvo che quello era un mancino e batteva il cross dalla sinistra (non come usa adesso, con gli allenatori che credono d'inventare cose inaudite mettendo i mancini a destra e i destri a sinistra).
Giocava praticamente da fermo, cercando il lato d'ombra nel pratone di San Siro. Scansava il contrasto e aveva in uggia il dribbling frontale, elettrico, arrogante (alla Mazzola); preferiva invece nascondersi per lunghi minuti, trottando qua e là indolente. Ricevuta palla, dava una specie di accelerata, si portava dalle parti dell'area di rigore e, a quel punto, tutto l'infinito e il sublime calcistico diventavano possibili. Ma sempre al rallentatore, s'intende. Anche il tiro: floscio, molliccio, di uno che non ne ha voglia, però temibilmente tagliato, imprendibile, irridente. Ricordo un derby lontano, in cui a tu per tu col portiere gli fece scivolar via dentro la rete una palletta beffarda, come quella che sfugge al bambino, rimbalzando senza un perché.
Ararat
20 giugno 2020