Giovanni Arpino, "La Stampa", 28 maggio 1971
Con Armando Picchi il mondo del calcio perde non solo un uomo che fu serio atleta, intelligente protagonista, ma una concreta speranza, uno dei possibili perni del suo futuro. E' ad uomini come Picchi che sono affidate le sorti perigliose d'uno spettacolo che si muove sempre tra fondali abnormi, sono gli uomini della misura di Picchi che possono reggere e manovrare le briglie d'un carrozzone tanto coloralo quanto avventuroso e tenerlo sul giusto binario: se mancano questi uomini, è sbigottimento e dolore per tutti.
Lo ricordo ad Appiano Gentile: un gentiluomo sobrio, un po' ironico un po' triste, più che l'atleta celebre, il «cervello» d'una squadra che in quegli anni fu amata più a Berlino che a Roma, più a Bruxelles o Zagabria o Madrid che a Palermo. Tra le pareti di Appiano Gentile, «laboratorio di pedate», mentre i suoi compagni molleggiavano sulle alte suole delle scarpe da riposo, lui, seduto, intento al giornale spiegato, rassomigliava ad un giovane manager. In campo, non mutava aspetto: l'intervento pronto, la misura nel passo, la lucidità di posizione erano virtù acquisite con lo studio e gli consentivano di vincere e contrastare avversari fisicamente più dotati e irruenti.
E lo ricordo a Città del Messico, freschissimo allenatore della Juventus. ma preoccupato di quel «salto» di carriera, interessato ai nuovi rapporti che avrebbe dovuto saper tenere con un club, una città cosi importanti. Ascoltava le confidenze altrui, annuendo in silenzio, facendo tesoro. Come sempre, si disponeva a mettere a fuoco le sue esperienze sotto il giusto angolo ottico, per costruirsi l'avvenire.
Niente gli è stato facile: neppure la vita privata, per le preoccupazioni derivategli dalle traversie che in un anno dovette subire la moglie. Ora poteva aprirsi a una vita quasi normale. E' caduto subito, vittima di un destino crudelissimo, che colpisce alla cieca e miete l'intelligenza con la stessa ottusità con cui congela una fioritura di marzo o fa esplodere un vulcano.
Un giorno, a tavola, con alcuni suoi amici calciatori, sentii venir fuori una voce: «Appena compio trent'anni, li assaggerò anch'io quegli scampi». E tutti gli sguardi si voltarono ad ammirare il carrello degli antipasti che un cameriere allontanava per far posto al solito mesto risotto, alla solita mesta bistecca. Picchi era tra quelli, e sorrise con le lunghe rughe. Perché anche questo è l'uomo, se nel suo mestiere sa comportarsi con civile consapevolezza del sacrificio, rimandando a un domani le più legittime debolezze individuali e di gusto.
E invece: né futuro né ricompensa né consolazioni di alcun genere. Gli anni migliori buttati tra uragani di applausi e di fischi in quei venti metri che un «libero» possiede sul verde d'un campo, e poi la fine, quando la mano già sta aprendo la porta su un futuro che verosimilmente uno si può prospettare più fortunato, soprattutto più normale.
Negli ultimi mesi, aveva imparato a distaccarsi dai suoi giocatori: gli era stato difficile, era abituato a correre in tuta, a lottare con loro, aveva dovuto acquisire velocemente una diversa maturità. Da giocatore a mister. Ormai era mister, cioè l'uomo che non solo consiglia, ma deve dare ordini, amministrare psicologie oltreché scatti, correggere disposizioni morali oltreché atteggiamenti fisici. Qui avrebbe preso il volo l'altro Picchi, dopo un ennesimo apprendistato, avendo messo in cassaforte tutte le lezioni apprese in anni di agonismo frenetico.
Ha appena fatto a tempo a ricucirsi i gradi, e muore. A indicarci ancora una volta come il caso, le regole oscure del caso, siano nemiche delle progettazioni anche più oneste.
I telefoni delle redazioni e del suo club sono impazziti per le chiamate di gente che voleva, angosciata, sapere, intuendo la tragedia dell'uomo. Un uomo così sobrio, così lontano da ogni affettazione o divismo, che si stagliava con evidenza immediata tra tanta folla di comparse, tanto più fasulle quanto più colorate. Il suo esempio va ricordato a lungo, mollo al di là del «minuto» che gli si dedicherà, ammutoliti, in uno stadio.