"Secondo Meazza, che non era molto tenero nei confronti dei suoi colleghi, mai al mondo si era vista ed ammirata un'ala sinistra della classe di Raimundo Orsi"
(Gianni Brera)
Mumo
El cometa de Amsterdam
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Addio, campione di violino
Gianni Brera
"La Repubblica", 8 aprile 1986
Vinse la Copa America nel 1927 e si rivelò alla platea europea, con la maglia dell'Albiceleste, durante le Olimpiadi del 1928, guadagnandosi il soprannome de "El cometa de Amsterdam". La Juventus lo volle a tutti i costi, offrendogli 100.000 lire d'ingaggio, una villa in collina e un'automobile. Durante sei stagioni nella Juventus, contribuì, con 78 gol in 177 partite, alla conquista dei cinque storici scudetti consecutivi. Ala sinistra velocissima, dotato di una tecnica sopraffina e di straordinarie capacità di tiro, 'Mumo' aveva un'eccezionale abilità nel mandare la palla in rete direttamente su calcio d'angolo. Fu una delle prime ali a non limitarsi esclusivamente a effettuare dei cross per il centravanti, ma a cercare anche la conclusione, accentrandosi con movimenti in diagonale. Certo, latitava quando il clima delle partite importanti si faceva rovente; ma era un campione. "Orsi è simpatico, suona il violino, un violino di marca. Suonava in un night club di Buenos Aires. Mi chiama spesso al telefono e mi dice: ascolta questo tanghito!" (Mario Varglien).
Vittorio Pozzo non mancò di fargli disputare 35 partite in Nazionale - record assoluto tra gli oriundi, fino all'epifania del connazionale Mauro Germán Camoranesi - tra il 1929 e il 1935. Con la maglia azzurra vinse la Coppa Rimet del 1934.
Addio, campione di violino
Gianni Brera
"La Repubblica", 8 aprile 1986
E' morto a Santiago Raimondo (Mumo) Orsi. Era nato argentino il 2 febbraio 1901: aveva dunque 85 anni. Giocava ala sinistra nella nazionale blanco-azul che perdette ad Amsterdam la finale olimpica 1928 contro l'imbattibile Uruguay. L'acquistò poi la Juventus e disputò il suo primo campionato italiano nel 1929-30, l'anno in cui vinse l'Inter di Milano.
Come tutti i figli e i nipoti di emigrati, Mumo aveva il doppio passaporto e Vittorio Pozzo lo impiegò subito in nazionale nell'amichevole contro il Portogallo (San Siro di Milano, 1 dicembre 1929). I portoghesi vennero battuti 6-1: Orsi segnò i gol del 2 e del 3-1. Apparve a tutti un vero fuoriclasse. Io lo ricordo piccolo di statura e tuttavia longilineo: le sue gambe erano lunghe ma per niente ipertrofiche. Nonostante giocasse ala sinistra, il suo piede elettivo era il destro. Apparve alla rozza ribalta italiana con movenze agili ed eleganti da cerbiatto. Sapeva arrestare palla levando il piede e ricevendo sul collo, come nessuno tentava, allora, da queste umili parti. Scattava rapido a dettare il lancio e dribblava in corsa con mosse ogni volta nuove, decise ed essenziali. Preso di mira dai medianoni del tempo, volentieri girava al largo per non subire contatti pericolosi.
Riconosceva fra noi al solo Peppe Meazza il diritto di dialogare con lui tenendo alta la palla perché non la guastassero gli orrendi terreni ai quali eravamo avvezzi per insipienza e povertà. Giocava con distacco e quasi con indifferenza. Batteva gli angoli da sinistra con il destro, imprimendo alla palla effetti sinistrorsi che spesso ingannavano i portieri. Viveva a Torino come un duca, rispettato da tutti per i suoi quarti di squisita nobiltà. Percepiva ottomila lire mensili quando una maestra elementare di ruolo a Milano, non a Brisighella, non toccava le cinquecento. Inoltre, aveva a propria disposizione un'auto con chauffeur, ottenuti per contratto dalla Fiat. Suonava il violino senza incantare ma aiutando il prossimo a capire che i muscoli non erano la sola componente del suo stile.
Giocò molti incontri in nazionale e vinse con la maglia azzurra la seconda Coppa Rimet (1934): nella finale contro i ceki segnò - un gran destro al volo - il gol dell'1-1, che consentì poi a Schiavio di ottonere il 2-1 nei tempi supplementari. Non era un eroe e non appena si complicarono le cose sul piano politico internazionale prese il largo da Torino imitando i romanisti Guaita, Stagnaro e Scopelli. Temeva, disse, una "comocion politica". Al suo rientro in patria non ebbe molta fortuna. Come giocatore era vecchio e come tecnico non aveva studiato abbastanza il calcio italiano, che in effetti imitava l'uruguaiano ma lui, argentino, non avrebbe mai potuto ammetterlo.
Io lo ricordo avvilito e malmesso a un raduno di oriundi e uruguagi in occasione d'un Independiente-Inter a Baires. Allenava a Cordova e il mio giornale dovette pagargli il viaggio in aereo. Lui e il vecchio Peppe Meazza si abbracciarono molto affettuosamente e forse avrebbero pianto, di commozione o di stizza, se tanta gente meno celebre ma più fortunata di loro non li avesse infastiditi con la propria petulanza. Secondo Meazza, che non era molto tenero nei confronti dei suoi colleghi, mai al mondo si era vista ed ammirata un'ala sinistra della classe di Raimundo (Mumo) Orsi. Eppure, aveva la bellezza di 9 anni più di lui: e nel ricordare quel grandissimo viene spontaneo il sospetto che anche nei favolosi Anni Trenta il nostro Passe fosse, calcisticamente parlando, un vezzoso e ignaro cimitero per elefanti.