
Silvio Piola, massimo centravanti espresso dal calcio italiano in un secolo di storia, si è spento ieri a 83 anni. Era schivo, quasi scontroso nella sua timidezza. L'ambiente l'aveva dimenticato in fretta e lui non si era certo adoperato per farsi ricordare: apparteneva a una generazione per cui l'essere contava infinitamente più che l'apparire. Quanto aveva fatto in campo gli bastava; meglio andarsene a caccia e invecchiare serenamente in disparte. Vedeva nascere e tramontare tanti campioni ma nessuno si avvicinava ai suoi primati, nessuno riusciva a scalzarlo dal trono di migliore goleador del nostro campionato. Nordahl, Altafini, Vinicio, Charles, Riva, Paolo Rossi, eccetera: tutti pigmei al suo confronto. Accumulò un bottino ineguagliabile: 290 reti in 565 partite di serie A. Doveva essere fatto di acciaio; solo cosiì è spiegabile l'incredibile lunghezza della sua carriera: debuttò a 16 anni e mezzo, chiuse a oltre 41. Ed era un centravanti. I difensori di allora non usavano certo modi più gentili di quelli attuali, anzi; ma era così duro che a picchiarlo ci si faceva male. Un atleta sul metro e ottanta: veloce come un falco, poderoso come un ariete. Irresistibile in contropiede, irrefrenabile sotto porta. Per rendere l'idea un mix fra Boksic e Casiraghi. Aveva tutto: tiro, colpo di testa e una straordinaria qualità acrobatica. Celebri le sue rovesciate cui dedicava ore di addestramento. Si allenava molto in aggiunta al lavoro abituale, era parco e sobrio come costume di vita. Forse anche per questo è durato tanto. Aveva soprattutto il carattere di un combattente indomabile e tranquillo: mai un'espulsione, mai una caduta emotiva. Pozzo lo fece esordire in nazionale a poco più di 21 anni; doveva sostituire Meazza, si giocava a Vienna dove gli azzurri non avevano mai vinto. La violò lui con due reti e nel '37 ripetè l' impresa a Praga: l' unica vittoria azzurra mai ottenuta in Cecoslovacchia. In nazionale segnò 30 gol in 34 partite; la guerra gli sottrasse gli anni della piena maturità. Con lui gli azzurri rimasero a bocca asciutta solo una volta (0-0 con la Francia nel '37). Disputò la sua ultima partita con loro a quasi 39 anni, pareggiando a Firenze con gli inglesi cui, anni prima, aveva segnato un gol di mano come Maradona. Militò nella Pro Vercelli (dove cominciò a giocare di nascosto dal padre), nella Lazio (dove lo volle il Fascismo), nella Juve e nel Novara (per un lunghissimo periodo): non vinse neppure uno scudetto. Preferiva la sua provincia: una sorta di Cincinnato del pallone. Nessuno incarnò meglio di lui la figura del goleador, i suoi slanci impetuosi e i suoi quieti silenzi.